Valutazione nella Terapia centrata sulla Soluzione: come avviene

Nelle terapie tradizionali il percorso terapeutico, normalmente, ha inizio solo dopo aver preso in esame due aree di valutazione, la valutazione nella Terapia centrata sulla Soluzione, invece, esula da questo tipo di analisi.

Valutazione nella Terapia centrata sulla Soluzione e in quella tradizionale

Il terapeuta si pone quindi la domanda “quale modello terapeutico potrebbe aiutare al meglio questo paziente?”

Nelle terapie tradizionali, la prima area di valutazione che viene presa in considerazione è quella inerente all’idoneità del paziente alla terapia, ovvero, si cerca di determinare se il paziente possa essere aiutato da un tipo di terapia basata sul dialogo.

Inoltre, si possono indagare le capacità cognitive del paziente, la sua abilità locutoria e, forse la sua teoria riguardo alle cause del suo stato e di come questa possa essere o meno adatta a un intervento psicologico.

Il terapeuta tradizionale, inoltre, cercherà di esplorare la natura del problema e sul suo perdurare, valutando quindi se per tale problema possa essere efficace il modello di terapia da lui proposta.

Il terapeuta si pone quindi la domanda “quale modello terapeutico potrebbe aiutare al meglio questo paziente?”

All’interno dell’approccio della Terapia Breve centrata sulla Soluzione, invece, non c’è una fase che potremmo definire di pre-terapia. Infatti, si parte dall’assunto che ogni paziente stia facendo il meglio che può in quel momento, spetta al terapeuta, invece, determinare se vi possa essere un modo per adattarsi in modo soddisfacente al paziente.

La risposta a questa domanda può essere trovata solamente all’interno del processo terapeutico stesso.

A oggi, a livello demografico, di presentazione del paziente o del problema che lo ha portato a richiedere un aiuto terapeutico, nessuna ricerca ci consente di sapere per chi sia utile questo tipo di approccio e per chi no.

Ogni intervento è un intervento sperimentale

Ogni intervento centrato sulla soluzione è quindi, in sunto, un processo sperimentale che pone al suo centro la domanda: “Posso, come terapeuta, trovare un modo che si adatti a questo paziente e che davvero sia per lui utile? Che generi una differenza che fa la differenza?”

Le domande che il terapeuta indirizza verso la soluzione sono quindi legate al processo della terapia invece che sul mondo interiore del paziente e sulla relazione tra questo e il terapeuta, ed è questa la differenza sostanziale con le terapie tradizionali.

Il terapeuta non sta quindi cercando di capire il paziente, di valutare il suo comportamento, di provare a comprendere cosa lo faccia scattare.

Al contrario, ciò che fa il terapeuta della Terapia Breve centrata sulla Soluzione è di restare quanto più in “superficie” possibile, invece di scavare.

Come procede il terapeuta della Terapia Breve

Nell’approccio focalizzato alla soluzione, il terapeuta pone la sua prima domanda, quindi ascolta la risposta del paziente e cerca di formulare una successiva domanda tenendo conto della risposta ricevuta, in modo da spostare la conversazione nell’ambito delle possibilità.

Il terapeuta può così concentrarsi anche sul contenuto, quindi sulla narrazione. C’è però un altro processo che si sviluppa in parallelo e che incentrato sulla domanda “sta funzionando?” o anche “il paziente mi sta seguendo nella conversazione?”

Se il paziente collabora col terapeuta, allora questi potrà procedere seguendo la regola di de Shazer “Se funziona, fatene di più” (che trovi qui).

Se però il paziente non segue, allora è valida la terza regola di de Shazer “Se non funziona fai qualcosa di diverso”

Se però il paziente non segue, allora è valida la terza regola di de Shazer “Se non funziona fai qualcosa di diverso” e questa regola ha la precedenza, per cui il terapeuta è tenuto a fare delle modifiche durante il percorso.

Forse il ritmo che si sta seguendo è sbagliato, forse il paziente vuole raccontare qualcosa di più della sua storia e dei suoi problemi.

Forse una domanda posta “dal punto di vista di un’altra persona” potrà consentire al paziente di vedere se stesso nel futuro, piuttosto che essere invitato a vederlo con i suoi occhi.

Per esempio: “Come farà il tuo migliore amico a sapere che il nostro incontro ti è stato utile?”

Forse, per un paziente che ha difficoltà ad allontanarsi dalla descrizione del problema, una domanda inaspettata potrebbe funzionare meglio di una domanda d’istanza, così come potrebbe funzionare il concentrarsi sulla gestione del paziente o avvicinarsi di più all’esperienza del problema stesso.

Il terapeuta focalizzato sulla soluzione, quindi, ascolta il contenuto della risposta del paziente e allo stesso tempo ne valuta la forma.

Su tale base, sceglie tra le diverse risposte focalizzate sulla soluzione e sceglie quale, tra queste, meglio si adatti alla condizione del paziente in modo che sia utile per portare un cambiamento. (Andersen 1990)

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

 

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Bibliografia

Andersen, T. (Ed.) (1990) The Reflecting Team: Dialogue and Dialogues about the Dialogues. Broadstairs, Kent: Borgmann.

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