Salute mentale, l’accettazione radicale nella Terapia Breve

La pratica della Terapia Breve centrata sulla Soluzione implica l’”accettazione radicale”, come ha scritto de Shazer. Questo assunto è molto evidente quando si lavora con persone che presentano problemi di salute mentale.

Salute mentale: l’approccio secondo la Terapia Breve

Nell’approccio terapeutico della Terapia Breve centrata sulla Soluzione il quadro di riferimento del paziente non viene messo in discussione, anche se delle volte può essere ingannevole.

Un esempio che ci riporta de Shazer è quello di una donna che aveva difficoltà a dormire. La motivazione che questa adduceva era che il suo vicino di casa, una persona viscida, utilizzava una macchina in grado di emanare raggi verso il suo letto, impedendole così di dormire tranquillamente.

 

Quando de Shazer parlava di questo caso, affermava che non avrebbe avuto alcun senso utilizzare formule come “ti sembra che stia facendo questo”, perché per la paziente quella era una realtà consolidata e tali parole, pronunciate dal terapeuta, sarebbero state percepite come una sfida, facendo scaturire antagonismo e mancanza di collaborazione.

Alla fine, invece, la conversazione era stata portata su un altro terreno, incentrandosi sulla possibilità di spostare il letto.

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Ne era emerso che il paziente credeva che “un altro se stesso” gli stesse suggerendo di togliersi la vita.

Altri casi emblematici sui problemi mentali affrontati con la Terapia Breve

Una paziente si lamentava del fatto che le voci che sentiva le impedivano di condurre una vita normale. La donna temeva di dover rientrare in ospedale.

Quello che fece de Shazer in questo caso fu concentrarsi solamente sui momenti in cui la donna riusciva ad andare avanti in modo normale nella sua vita, in modo da permettere alla paziente di ricordare e amplificare le sue capacità.

Sempre con l’approccio della Terapia Breve centrata sulla Soluzione, sono stati esaminati diversi pazienti ospedalizzati messi sotto sorveglianza per “tendenze suicide”.

Una delle pazienti, in un’occasione, aveva descritto il primo segno di un “miracolo” (puoi approfondire qui sulla miracle question) avvenuto durante la notte.

La donna aveva detto che al risveglio, al mattino, si sarebbe guardata allo specchio e avrebbe visto che non aveva più peluria sul viso e che si sarebbe guardata fuori dall’ospedale.

Il terapeuta le aveva così chiesto di tornare indietro al momento prima di guardarsi allo specchio e di considerare le differenze che avrebbe in seguito notato tra prima e dopo.

La donna aveva detto che si sentiva più felice rispetto a prima e questo aveva portato a considerare anche la valutazione dei suoi progressi sulla scala da parte degli altri pazienti e del personale.

Anche se durante la sessione la donna si era messa a piangere, il terapeuta aveva riferito che quella era stata la prima volta che si era trattenuta per più di qualche minuto in una conversazione terapeutica. Tre settimane dopo era stata dimessa.

Un altro episodio interessante era stato quello in cui un membro del team stava lavorando alla sua scrivania. A un certo punto era entrato un collega accompagnato da un paziente per controllare l’agenda e fissare così l’appuntamento successivo.

Una volta segnato l’appuntamento, paziente e terapeuta si erano stretti la mano, il membro del team era rimasto a guardare stupito come il suo collega avesse detto al paziente: “È stato un piacere conoscervi entrambi.”

Ne era emerso che il paziente credeva che “un altro se stesso” gli stesse suggerendo di togliersi la vita e che questi aveva acconsentito affinché il terapeuta ponesse qualche domanda a quel “se stesso” riguardo alle intenzioni che aveva.

Questo aveva aiutato il paziente a stabilire un contatto con quella personalità in un modo completamente diverso.

Il trattamento migliore per il paziente

In linea con questo atteggiamento di accettazione, si pone il problema di quale sia il trattamento migliore per il paziente e come affrontarlo.

Un paziente con diagnosi di schizofrenia e paranoia aveva detto: “Devo imparare a gestire meglio la mia malattia”, perché non si aspettava di essere “guarito”.

Un’altra paziente, affetta da disturbo bipolare, aveva dovuto smettere di prendere il litio quando gli esami medici avevano evidenziato danni al fegato. Era venuta per la terapia perché si era resa conto che la sua vita stava diventando caotica.

Grazie alla conversazione terapeutica era riuscita ad avere un maggiore controllo nella sua vita, ma restava convinta che i farmaci fossero essenziali per il suo benessere. Quando aveva cominciato a prendere dei nuovi farmaci, si era convinta che questi avessero contribuito a consolidare il controllo che aveva già raggiunto.

Ai pazienti che chiedono dei farmaci si può domandare come si accorgerebbero che funzionano e come la terapia possa contribuire al loro effetto. Se il paziente risponde descrivendo una riduzione dei sintomi, gli si può domandare cosa noterebbe al loro posto.

Non sempre è necessario che il medico prenda posizione sul fatto che un paziente debba o meno assumere un determinato farmaco, escludendo, naturalmente, ciò che riguarda tempo e modo di somministrazione, quindi dosaggio ed eventuali effetti collaterali.

Nel prossimo articolo parleremo di un altro approccio emblematico della Terapia Breve centrata sulla Soluzione, quello inerente ai traumi.

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

 

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Bibliografia

de Shazer, S. (1988) Clues: Investigating Solutions in Brief Therapy. New York: W.W. Norton.
de Shazer, S. (1995) Coming Through The Ceiling. Training video (visibile su: www.sfbta.org).

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