Il malessere del paziente: quando ci si trova al gradino 0

E se il paziente dovesse affermare di trovarsi al gradino 0? Ci si pone questa domanda a ogni workshop sull’approccio orientato alla soluzione. In realtà, però, questa risposta, che esplicita il malessere del paziente, viene data solo occasionalmente dai pazienti, tuttavia il terapeuta si preoccupa su come potrà affrontare questa risposta se mai dovesse, un giorno, riceverla. (sullo 0 puoi approfondire qui)

Il malessere del paziente, cosa deve fare il terapeuta

Riconoscere il malessere del paziente è di grande aiuto. La prima cosa che il terapeuta dovrebbe sempre tenere a mente in una circostanza come quella che è stata appena descritta è il mantra di O’Hanlon (O’Hanlon e Beadle 1996), riconoscere il malessere del paziente prima di passare alle domande sulle possibilità.

Affermare di trovarsi allo 0 per i pazienti è il loro modo di esternare il loro malessere, quanto male vadano le cose e hanno bisogno di sentire che noi stessi l’abbiamo percepito, il nostro prenderne atto è importante.

malessere paziente

Affermare di trovarsi allo 0 per i pazienti è il loro modo di esternare il loro malessere

I terapeuti con poca esperienza, a volte, vogliono cercare di migliorare le cose in fretta, e per questo motivo potrebbero rispondere in primo luogo con: “dici che è 0 ma guarda, oggi sei qui a questo incontro”. Attenzione. Il “ma”, per il paziente, significa che non è poi così male come dice lui.

Sostituire “ma” con “e” fa la differenza. Infatti, se diciamo: “Caspita, questo significa che le cose devono essere molto difficili, e mi chiedo come hai fatto a venire comunque all’incontro oggi?”

Dopo aver preso atto del malessere del paziente

Dopo aver riconosciuto il senso di difficoltà che prova il paziente, una domanda che si potrebbe porre è la seguente: “Come mai lo stadio a cui ti trovi non è -1?”

Occasionalmente qualcuno potrà obiettare, come una giovane donna che aveva risposto: “Non sapevo che si potesse anche andare in negativo sulla scala!”, ma generalmente il terapeuta aspetta che il paziente ci rifletta.

In una sessione al BRIEF de Shazer si era fermato ad ascoltare la risposta di una paziente. Era una giovane donna, una madre single che faceva uso di eroina e i servizi sociali erano preoccupati per l’incolumità della sua bambina di 2 anni.

Alla domanda riguardante il livello in cui si trovava sulla scala, la donna aveva risposto 0, dove lo 0 indicava come stavano le cose quando aveva deciso di iniziare il percorso di terapia. de Shazer, quindi, le aveva chiesto come mai non fosse andata ancora più in basso, -1 o qualcosa del genere, come mai non fosse peggiorata.

Lei aveva risposto: “Non posso peggiorare”, “Ne sei sicura?”, aveva risposto lui dopo una pausa.

Aveva quindi guardato la bambina, pensato un momento, e poi aveva detto: “Beh, potrebbe andare peggio”. Poi avevano parlato a lungo di ciò che stava facendo per evitare che le cose andassero peggio di quanto non lo fossero.

Altri casi di -1 sulla scala

Un’altra paziente del BRIEF, alla domanda su come mai non fosse arrivata a -1 sulla scala, aveva risposto che, in tal caso, si sarebbe suicidata, perché sapeva bene come ci si sente in quella condizione dato che lo aveva già provato.

Alla domanda su come mai ora non si sentisse così, aveva risposto che sarebbe stato orrendo fare una cosa del genere a suo figlio.

Le era poi stato chiesto di riflettere su come, dato il terribile rapporto con la madre che aveva descritto, fosse riuscita invece a essere una madre premurosa.

In un altro caso ancora, quando alla paziente era stato chiesto come mai non si trovasse a -1, lei aveva risposto che quello era il peggio. A quella risposta il terapeuta non aveva avuto altra scelta se non chiederle: “Come sapresti di essere salita a 1?”

La paziente aveva continuato parlando di ciò che avrebbe detto all’assistente sociale, compreso il fatto che era riuscita ad andare alla seduta da sola (l’assistente sociale si era offerta di accompagnarla).

Un’altra paziente aveva telefonato tra una seduta e l’altra per dire che si era organizzata per vedere il suo medico più tardi quello stesso giorno, dato che si sentiva molto giù, ma che stava pensando di non presentarsi all’appuntamento perché pensava di non essere più in grado di farcela e che fosse inutile andare avanti.

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“Fammi alcune domande, come quelle utili che mi vengono fatte durante le mie sedute.”

Il terapeuta le aveva quindi chiesto che cosa sperasse di ottenere con quella telefonata. Aveva risposto: “Fammi alcune domande, come quelle utili che mi vengono fatte durante le mie sedute.”

Il terapeuta aveva chiesto: “Quale domanda vorresti che ti facessi?”, la paziente aveva risposto: “Da 0 a 10.” Il terapeuta: “Ok, quindi su una scala da…”

“Zero!” Aveva risposto la paziente senza far terminare il terapeuta.

Dopo che il terapeuta aveva riconosciuto quanto dovessero essere difficili le cose e sentito dei dettagli che avevano fatto capire quanto davvero fossero difficili per la donna, le aveva chiesto quale era stato il punto più alto in cui si fosse trovata la scorsa settimana.

“4” aveva risposto. Era stato quando era andata a trovare sua sorella due giorni prima. La conversazione era poi continuata con la discussione su ciò che era stato diverso da quel momento e alla fine, la paziente, aveva detto che non si sentiva poi così disperata, anche se aveva accettato di mantenere l’appuntamento col suo medico.

In conclusione

Come si può notare, tutto dipende da come ci si pone nei confronti del paziente, facendogli comprendere che abbiamo percepito il sui forte stato di disagio. Da qui si può procedere col lavoro.

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

 

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Bibliografia

O’Hanlon, B. and Beadle, S. (1996) A Field Guide to PossibilityLand. London: Brief Therapy Press

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