Nessun caso, nessuna eccezione: come aiutare il paziente che non nutre speranze

Tra tutte le tipologie di pazienti ce n’è una particolarmente complessa: il paziente che non nutre speranze, quello cioè che non crede nel cambiamento, che non pensa di potercela fare. In poche parole, alcuni pazienti non riescono a pensare alle eccezioni o ai casi del futuro preferito. Più semplicemente, non riescono a immaginare la loro vita sotto una luce diversa, non riescono a vedere casi significativi che possano innescare il cambiamento.

Come aiutare il paziente che non nutre speranze

paziente senza speranze

La cosa più utile da tenere a mente è che il paziente è lì, di fronte a te, e deve esserlo per una buona ragione,

Come ho detto, ci sono alcuni pazienti che non riescono a notare il minimo cambiamento positivo, che non riescono quindi ad affrontare un percorso pensando a un futuro desiderato.

Questi, spesso, son pazienti che anche alla fine del percorso, nonostante dei minimi miglioramenti vi siano, non li interpretano in accezione positiva ma li utilizzano piuttosto come termine di paragone per mettere in risalto gli aspetti negativi della loro condizione.

In questi casi, la cosa più utile da tenere a mente è che il paziente è lì, di fronte a te, e deve esserlo per una buona ragione, non solo perché magari gli è stato consigliato da qualcuno.

Quindi, deve avere necessariamente ancora un barlume di speranza nel futuro.

Questa speranza sarà fondata sull’esperienza, sebbene il paziente abbia, in quel determinato momento, perso ogni contatto con quell’esperienza.

Il terapeuta a fianco del paziente

I bravi terapeuti che utilizzano l’approccio della Terapia Breve centrata sulla Soluzione, come del resto anche tutti gli altri terapeuti, non si possono permettere di stare da nessun’altra parte se non da quella del paziente.

Anche se non chiedono (e quindi non cercano) informazioni sul problema, hanno sicuramente necessità di riconoscerlo e di essere empatici con la situazione dolorosa e triste del loro paziente.

Possono chiedere al paziente che ha tentato il suicidio ed è stato ricoverato per due anni: “Come diamine fai ad alzarti ogni giorno?” Al genitore che dice che la figlia stava per morire: “Come fai ad affrontare questo continuo comportamento di rifiuto?”

Queste non sono solo singole domande isolate, ma devono essere interpretate come punti d’accesso di una sequenza in cui la gravità dei problemi del paziente si riflette nella curiosità di scoprire come andare avanti nonostante tutti quei problemi.

Nella maggior parte dei casi questo porterà il paziente ad essere più consapevole dei casi e delle eccezioni, di quei momenti occasionali in cui la vita sembra essere più degna di essere vissuta.

Queste domande sul “continuare ad andare avanti” o come rispondere a tali domande, saranno l’argomento di articoli che tratterò più avanti, per approfondire sul futuro desiderato leggi qui.

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Esperto di Terapie Brevi,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

 

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